Il titolo di questo nuovo post è tratto dalla bella poesia che chiuderà i miei pensieri: poesia che ha scritto un mio caro amico e che mi ha autorizzato a pubblicare.
Sulla poltrona dello Psicoterapeuta si siedono spesso, molto spesso, cuori infranti. Quando una relazione finisce, perché si spegne o perché il tradimento la lacera, ci lascia a confronto con i nostri fantasmi più terrificanti. Il senso di solitudine e di inutilità dilagano. Improvvisamente ci ritroviamo di nuovo bambini o bambine che cercano invano la mano di chi non doveva proprio venir meno e un angoscioso senso di morte ci domina.
Jaak Pankseep, Psicobiologo e ricercatore in Neuroscienze presso la Washington State University, ha scoperto ultimamente l'esistenza di specifici circuiti neuronali, attivi fin dalla nascita, deputati a sorreggere le principali emozioni. Tali circuiti sono sette ed uno di questi attiva il vissuto di panico da abbandono: emozione che può salvare il cucciolo abbandonato, ma che è devastante quando torna ad attivarsi in situazioni adulte privandoci di ogni consapevolezza della nostra autonomia. Per chi volesse approfondire, sono stati tradotti da Cortina i suoi due ultimi libri: "Affective Neuroscience" e "The Archeology of Mind".
Questa è la base biologica, ineludibile. Io voglio però provare qui a chiedermi se non possiamo lavorare su di noi, non per evitare il dolore, ma per cominciare a considerare l'abbandono come una fase importante ed anche creativa nella vita di un adulto; non quindi un evento sventurato che ci si augura di non vivere mai, ma come una dimensione naturale della vita relazionale, che occorre imparare a vivere, così come ci sforziamo di imparare a vivere l'incontro e l'unione.
Oggi mi è stata donata una magnifica frase di una grande donna, che ha vissuto con indomabile intensità a cavallo fra Ottocento e Novecento: la condivido con voi in quanto perfetta per aprire questo nuovo discorso.
"Posso essere fedele ai ricordi, non alle persone... Infedeltà significa restituire la persona amata a se stessa, alla vita, alla libertà di svilupparsi. L'alternativa è: infedeltà o doppiezza, ambiguità" (Lou Andreas Salomé)
Se ci volgiamo indietro a guardare al tempo che ci ha preceduti o ad altre culture lontane geograficamente dalla nostra possiamo incontrare una miriade di forme diverse di incontro tra umani, diciamo pure miriadi di modi per amare. Andando in ordine sparso e casuale posso ricordare i tempi della schiavitù in cui schiavi e schiave erano oggetti di trastullo erotico senza per questo intaccare i rapporti di coppia ufficiali; oppure l'amore omosessuale maschile nell'antica Grecia considerato di un livello superiore alla relazione uomo-donna finalizzata alla procreazione; interessante anche la figura del Cicisbeo, che nel Settecento sostituiva il marito accanto alle dame in molte circostanze pubbliche; in alcune popolazioni non è proprio prevista la formazione di coppie stabili, ma i contatti sessuali vengono previsti nei più diversi modi ed è la tribù nel suo insieme a farsi carico dei figli; la Poligamia e la Poliandria esistono da sempre. Il modello della famiglia tradizionale e poi della relazione amorosa della coppia romantica, sono di fatto i prodotti dell'ultimo secolo della cultura occidentale, fortemente influenzata dal pensiero cristiano.
Tali modelli prevalenti sono oggi evidentemente in crisi, nelle nostre società. Il matrimonio come istituzione viene ancora riconosciuto come garante di diritti sociali e come tutela per l'educazione dei figli, ma ha completamente perso il suo valore simbolico e fondante della relazione amorosa. La promessa di una relazione "per sempre" non risuona più vera, appare sempre più un'utopia. Di fatto le relazioni stanno diventando sempre più "liquide", per usare la fortunata espressione del sociologo Bauman.
Ogni giorno incontro in studio persone che si confrontano con un futuro da ricostruire senza più punti di riferimento, né esempi da seguire. C'è chi si smarrisce, chi si aggrappa fortemente ai valori tradizionali e chi osa esplorare nuove esperienze. Il terapeuta, in questo caso più che in altri, non può essere una guida, essendo anch'egli immerso nella stessa esperienza di spaesamento, che non nasce dal patologico, ma dal mutare globale dei riferimenti.
Non penso sia un caso se ultimamente si sta facendo sempre più incandescente il dibattito su cosa possa definirsi Famiglia e cosa no, con le lotte dei movimenti per la difesa dei diritti di gay, lesbiche, transgender e quant'altri non si riconosca nelle categorie sessuali prevalenti o comunque culturalmente dominanti.
Più silenzioso, forse perché ancora più dirompente, è l'affacciarsi di una nuova sensibilità a forme di relazione amorosa e sessuale che prescindano completamente dalle usuali definizioni di coppia. Non esiste ancora neppure una terminologia appropriata per descrivere questo tipo di esplorazione. Negli anni '70 si parlava di "libero amore" ed i tentativi di realizzarlo concretamente furono le "Comuni". Il tempo ci ha detto che si trattò di un'intuizione utopica, ancora viziata dall'ingenua pretesa che bastasse scegliere quel modo di vivere per poi riuscirci davvero. Oggigiorno il dibattito sottotraccia che si sta svolgendo e le sperimentazioni sociali in corso si riconoscono nella definizione di "Poliamore". Questa dimensione prevede un delicato lavoro su se stessi e con gli altri per realizzare una dimensione veramente libera e mai possessiva dell'amore. I "poliamorosi" non concepiscono il sotterfugio o la menzogna con le persone amate o anche con i partner occasionali, ponendosi radicalmente al di fuori di ogni definizione di coppia esclusiva. Talvolta sono singles con molteplici relazioni, talaltra coltivano una relazione principale, magari anche convivendo, ma riconoscendosi a vicenda il diritto di relazionarsi anche sessualmente con altri partner. Rotti gli usuali confini le soluzioni possibili si possono comporre nei più svariati modi!
La domanda vera che ogni sera rimane con me dopo aver condiviso tante storie di vite che cambiano è la seguente: "Dunque...cos'è l'amore?" A mio avviso la vera sfida con cui ci stiamo confrontando non è di tipo sociale, ma esistenziale. Ora che l'amore ha cessato di essere il collante familiare, ora che possiamo di nuovo confrontarci con questo mistero assoluto che è il desiderio dell'Altro, dobbiamo trovare nuove radicali risposte. In me risuonano i medesimi dubbi, le stesse paure, le identiche emozioni che in seduta ascolto dagli altri.
L'intuizione poetica del mio amico, mi sembra che colga questo nostro smarrimento globale, anche se lui pensava, forse, di parlare ancora e solo dello smarrimento dell'amato che si ritrova solo e triste.
Tacerò
Io non ostenterò più parole/per tentare di parlare dell'amore./Io dell'amore non so nulla,/ed il silenzio diverrà lo spazio dove dimorerò.
All'amore, non conoscendolo,/tentai di dare nomi verosimiglianti,/ed uno fu il suo,/quello di una donna che credetti essere l'amore,/a modo mio.
Vi faccio dono del mio silenzio/per ascoltare le altrui voci,/mentre passano gli anni,/nevosi e soleggiati, diversi in ogni istante,/ma sempre troppo veloci.
Non mi udrete per le piazze e per le vie,/mi vedrete solamente passare lesto/e andare via in silenzio,/perché io non so cos'è l'amore,/e pertanto tacerò.
(Enrico Bonetto)