La parola "Trauma" è ormai entrata nel nostro linguaggio comune e nell'immaginario collettivo.
I primi studi di Janet e di Charcot misero in evidenza che alcuni disturbi apparentemente neurologici, potevano invece essere conseguenza di un evento traumatico importante, da cui la mente si difendeva traducendo la sofferenza psichica in un sintomo fisico. Gli esperimenti di ipnosi dimostrarono che la mente, adeguatamente suggestionata, è in grado di indurre il corpo a manifestare sintomi anche eclatanti. Tale fenomeno verrà poi studiato ancora ed approfondito in particolare dopo la Seconda Guerra Mondiale ed oggi viene indicato col termine di Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).
Più interessante, a mio avviso, l'originale sviluppo che apportò invece S. Freud allo studio del Trauma. Egli cominciò col verificare che anche dietro ai sintomi nevrotici che stava studiando nei casi di Isteria emergeva quasi sempre il ricordo di un evento traumatico vissuto in età infantile: con grande stupore vide affacciarsi nei sogni e nei ricordi delle sue pazienti un evento di abuso sessuale in età prepubere.
In un secondo tempo modificò la sua opinione, ritenendo che tali fatti incresciosi non si fossero verificati nella realtà. Tali ulteriori osservazioni lo indussero a considerare maggiormente la componente soggettiva, che elabora i dati di realtà in base alla propria sensibilità. Concluse quindi che in noi agiscono conflitti a prescindere dall'esperienza individuale, quali nuclei problematici propri della natura umana. Il principale di tali conflitti è quello Edipico: il bambino o la bambina sviluppa una relazione amorosa erotizzata con il genitore di sesso opposto e teme così la punizione per tale desiderio incestuoso. I ricordi di abusi sessuali subiti sarebbero allora da interpretare come proiezione dei propri desideri sessuali inconfessabili.
Questa revisione freudiana ha raccolto le aperte critiche di altri studiosi, sia contemporanei a lui che successivi: viene da questi sostenuto che Freud avrebbe ceduto alle critiche che gli provenivano dalla società del suo tempo, rinunciando così a portare fino in fondo la sua scoperta di un diffuso comportamento sessualmente abusante verso i bambini e salvaguardando viceversa l'idealizzazione perbenista delle figure genitoriali. Già il suo amico e collega Ferenczi entrò in conflitto con lui su questo punto con una relazione pubblica e con il saggio "Confusione delle lingue tra adulti e bambini" (1932). Più recentemente la psicanalista Alice Miller ha ripreso tali critiche nel suo libro "Il bambino inascoltato" (1981), analizzando anche i rapporti fra Freud ed il suo padre Jacob, di cui il figlio avrebbe voluto salvaguardare la reputazione, evitando di indagare l'ipotesi originaria di comportamenti sessualmente abusanti dei genitori verso i figli.
Sicuramente la pratica psicoterapeutica anche oggi permette di verificare come sia pervasiva e diffusa la possibilità che un adulto abusi sessualmente di un bambino, anche all'interno della stessa famiglia. Purtuttavia il ridimensionamento freudiano di tale scoperta ha permesso di porre attenzione anche a quelle situazioni, che non si configurano come un evento traumatico eclatante, ma che sono all'origine di una sofferenza profonda a causa di un clima traumatizzante in cui la persona è cresciuta. La sensibilità del bambino, così come l'incapacità di sintonia emotiva dell'adulto, possono concorrere a creare una situazione relazionale vissuta dal minore come una continua fonte di allarme, come un disagio pervasivo ed inaffrontabile. Oggigiorno tale sviluppo della riflessione clinica ha portato a teorizzare i concetti di "Atmosfera traumatica" (Van der Kolk) e di "Traumi cumulativi" (Masud Khan).
Lo sguardo sofferente di F.Kafka, ci accompagna alle ultime riflessioni che voglio portare in questo articolo: riflessioni che nascono dal dialogo recente con diverse persone nello spazio psicoterapeutico. Sto osservando con particolare attenzione cosa mi portano coloro che sono cresciuti all'ombra di un genitore con dei tratti ossessivi di carattere. Prendendo atto che la personalità ossessiva è per un verso premiata e per altro verso forgiata dalla nostra società competitiva e produttiva, ricordo che una persona ossessiva, pur senza sviluppare alcun sintomo nevrotico, sarà caratterizzata da un carattere rigido, per nulla disponibile al confronto e all'ascolto, da una quasi totale incapacità di esprimere la propria affettività soprattutto in modo corporeo, da una visione razionale e giudicante, dal bisogno che tutti si pieghino alla propria visione delle cose, ritenendola l'unica "giusta". Kafka in "Lettera al padre" (1919) sa descrivere molto bene il vissuto misto di affetto negato e rabbia trattenuta nei confronti di un padre siffatto. Il vissuto prevalente di un figlio cresciuto con almeno un genitore di questo tipo è quello di sentirsi "negato": i primi anni di vita incidono nell'anima la percezione di sé come inadatti, incapaci, immeritevoli di stima. I conflitti con il genitore in questione non riescono, solitamente, a liberare la propria vitalità: rimane sempre nel profondo la convinzione di essere sbagliati e meritevoli di disprezzo e sovente si sviluppa una rigidità caratteriale simile a quella subita per provare a non perdere il controllo di sé e del Mondo, oppure si va a sviluppare un vissuto depressivo che fa da sfondo alla propria esistenza, oppure ancora la comparsa degli Attacchi di Panico segnala la voglia di rompere lo schema ed il terrore di farlo.
Ho sentito il bisogno di scrivere questo articolo per riconoscenza verso tutti coloro che con le loro storie mi stanno permettendo di riflettere su questa specifica sofferenza e che mi aiutano a cercare un perdono per mio padre, che non poté far altro che riversare anche su di me e mio fratello la sua fatica nello stare al mondo.