(Illustrazione di Daniele Serra)
"Ars requirit totum hominem"
Questa massima alchemica viene commentata da Jung nel suo libro Psicologia del Transfert (in Opere Vol.XVI, Bollati Boringhieri, Torino, 1981). Ecco le sue parole: "Quest'affermazione vale perfettamente anche nel caso dell'attività psicoterapeutica. La partecipazione genuina, che va ben oltre la routine professionale, è non soltanto richiesta ma imperativa in casi del genere, a meno che si preferisca compromettere tutta quanta l'opera per eludere il proprio problema personale, che s'impone da ogni parte con crescente evidenza. Occorre in ogni caso raggiungere il limite delle possibilità soggettive, perché in caso contrario anche il paziente potrà non percepire i propri limiti."
Ecco che così Jung, nel 1946, entrava con verità nella particolare natura del rapporto psicoterapeutico. Oggigiorno si tende a presentare la psicoterapia come una tecnica volta a curare dei sintomi; la sua efficacia viene confrontata con quella degli psicofarmaci; si fanno studi costo/beneficio. E' giusto verificare se un certo approccio risulti efficace e non dannoso, ma si sta travisando il senso più autentico di questa pratica: essa da sempre è un tentativo profondamente umano di procedere oltre i limiti che l'umana natura conosce. Nella psicoterapia io riconosco il desiderio di esplorare oltre i confini già conosciuti per calpestare insieme una terra ancora vergine di passi. Il disturbo, ogni disturbo, può essere accolto come lo stimolo a superare i confini entro i quali abbiamo condotto il nostro vivere: prendersene cura diventa allora un dargli ascolto per comprendere verso quale orizzonte dispiegare le vele della propria esistenza.
Per questa sua natura esplorativa, la psicoterapia non può affidarsi solo al ruolo rassicurante dello "specialista", sia esso medico o psicologo: oltre le Colone d'Ercole, ci si può tenere per mano, ma nessuno conosce la strada!
Paziente e Terapeuta si incontrano su questo cammino spinti ciascuno da un proprio destino inevitabile: il Paziente si muove per il soffio tempestoso della sua sofferenza; il Terapeuta è tormentato dal suo demone, che lo incalza alla continua ricerca fin da prima di riconoscersi in questo suo ruolo. Solo così il viaggio può cominciare.
Il rapporto fra i due non è quindi un rapporto qualsiasi, ma una relazione radicale che può portare solo la salvezza o lo smarrimento per entrambi, in quanto, come ci ricorda Silvia Montefoschi: "Nel rapporto analitico non è in gioco solamente la salvezza o meno del paziente: è di entrambi che si tratta, perché nessuno si salva da solo." (Al di là del tabù dell'incesto, Feltrinelli, Milano, 1982).
Anche io, impegnato da svariati anni in questo tipo di ricerca, debbo e desidero confrontarmi con il fascino ed i pericoli di questo tipo di relazione. Invitato al Convegno "Sogni, Incubi, Visioni/ Esperienze e riflessioni cliniche sul pensiero di C.G.Jung e James Hillman/ II edizione", che si è tenuto a Torino in data 27 e 28 Febbraio 2016, ho voluto portare un contributo personale sullo spinoso tema del "Transfert", oggigiorno chiamato anche "Amore analitico", alla luce delle mie esperienze e dei miei percorsi personali con Silvia Montefoschi e Alessandro Defilippi.
Di seguito il testo integrale della mia relazione "Viaggio oltre le Colonne d'Ercole e ritorno", che potrete scaricare cliccandoci sopra. Buona lettura e che il vento vi sia propizio...